La cooperazione internazionale e il cambiamento climatico
La Banca Mondiale stima che entro il 2050 oltre 140 milioni di persone saranno costrette a migrare da zone rese inabitabili dalla desertificazione, dall’innalzamento del livello del mare e da altri fenomeni climatici. Una grande sfida che necessita interventi concreti per migliorare le capacità di adattamento agli effetti del cambiamento climatico e la resilienza delle comunità locali.
di Federico Turchetti
Il decennio passato, oltre ad essere stato il più caldo nella storia dell’umanità, è stato caratterizzato da frequenti eventi climatici estremi: incendi, inondazioni, ondate di caldo, periodi di siccità, cicloni e uragani di enorme portata non sono stati fenomeni eccezionali ma si sono verificati con regolarità allarmante in quasi tutti i contesti geografici. Negli ultimi vent’anni i disastri attribuiti agli effetti del cambiamento climatico sono aumentati dell’83%, passando dai 3.656 registrati nel ventennio 1980-1999 ai 6.681 nel periodo 2000-2019.
Le conseguenze del cambiamento climatico e dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali rischiano di compromettere lo sviluppo economico di quei Paesi che negli ultimi anni hanno faticosamente raggiunto importanti traguardi. Allo stesso tempo, queste conseguenze hanno un forte impatto anche sulle nazioni più ricche e competitive. Affrontare con tempestività e lungimiranza tali problematiche significa quindi evitare di vedere irrealizzati i diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, specialmente per quanto riguarda quelli che si propongono di eliminare e ridurre la fame, la povertà e le disuguaglianze. Tra le sfide poste dal cambiamento climatico in corso, una delle più rilevanti in termini di cooperazione e diritto internazionali concerne i forzati movimenti migratori interni e transfrontalieri che, secondo alcune stime della Banca Mondiale, entro il 2050 interesseranno più di 140 milioni di persone in America Latina, Africa sub-sahariana e sud-est asiatico. Nei prossimi anni un numero crescente di persone sarà infatti costretto ad abbandonare zone rese inabitabili da fenomeni quali desertificazione, innalzamento del livello del mare, inondazioni e conflitti causati da una maggiore competizione per l’accesso a risorse sempre più scarse. Benché l’ingente numero di sfollati e migranti causato dal cambiamento climatico sia solo uno dei tanti problemi che dovremo affrontare, e per i quali non esistono soluzioni semplici e immediate, già molto si può fare per limitare la portata e l’impatto di questo fenomeno globale, grazie anche all’implementazione di interventi che consentano alle comunità più esposte di adattarsi e diventare più resilienti.
Da diversi anni i membri della Federazione Humana People to People hanno intrapreso un percorso di sviluppo attento al cambiamento climatico e alle strategie di adattamento necessarie a contrastarne gli effetti. Ciò avviene principalmente nell’ambito di programmi di agricoltura sostenibile che concorrono al raggiungimento dei target 13.1[1], 13.2[2] e 13.3[3] dell’Agenda 2030. Uno degli interventi che verranno avviati entro la fine del 2021 è il progetto “Resilience Building as Climate Change Adaptation in Drought Struck South-Western African Communities”, che sarà implementato in Angola e Namibia dall’organizzazione intergovernativa Observatoire du Sahara et du Sahel (OSS) ed eseguito dalle nostre consorelle ADPP Angola e DAPP Namibia, anch’esse parte della Federazione Humana People to People. L’iniziativa, che avrà una durata di cinque anni, è finanziata dall’Adaptation Fund, un fondo internazionale con sede a Washington e istituito nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e del Protocollo di Kyoto. L’obiettivo generale del progetto sarà quello di migliorare le capacità di adattamento agli effetti del cambiamento climatico e la resilienza delle comunità locali che vivono nella zona compresa tra l’Angola meridionale (Provincia di Cuando-Cubango) e la Namibia settentrionale (Regione del Kavango Orientale), un’area geografica soggetta ad un repentino aumento delle temperature e ad una forte variabilità delle precipitazioni. Ciò si traduce in lunghi periodi di siccità intervallati da distruttive inondazioni che causano insicurezza alimentare e scarsa disponibilità di acqua per una popolazione in costante crescita e composta prevalentemente da agricoltori e allevatori su piccola scala. Il progetto si articolerà in tre componenti: la prima componente migliorerà le capacità di adattamento a livello distrettuale, nazionale e regionale tramite lo sviluppo di piani di adattamento (Community Adaptation Action Plans – CAAPs) in collaborazione con le autorità rilevanti e tramite attività di sensibilizzazione all’interno delle comunità; la seconda componente servirà a creare organizzazioni di piccoli agricoltori per rafforzarne le capacità di affrontare le conseguenze del cambiamento climatico grazie all’utilizzo di tecniche agricole (tra cui pratiche di Climate-resilient Agriculture – CRA) e al miglioramento dell’accesso e della gestione delle scarse risorse idriche; la terza componente, infine, fornirà ai produttori locali le competenze, le infrastrutture e gli strumenti necessari a diversificare le proprie produzioni, potenziare i processi di risparmio e migliorare le tecniche di conservazione, lavorazione e vendita dei prodotti agricoli.
In totale, 176 mila persone trarranno beneficio direttamente e indirettamente dall’intervento finanziato dall’Adaptation Fund ed eseguito da ADPP Angola e DAPP Namibia. L’obiettivo per i membri della Federazione Humana People to People resta quindi quello di assumere, nei diversi Paesi in cui operano, un ruolo centrale nel contrastare gli effetti negativi del cambiamento climatico sulle comunità ad esso più esposte.